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Per la salute dei piccoli immigrati
Siete certi che la medicina si basi sulle evidenze?”, ci chiede il medicus medicorum Paolo Cornaglia Ferraris, richiamando l’attenzione sull’intelligenza delle emozioni quale essenza del sapere medico. Persone, emozioni e anedotti sono i protagonisti del suo nuovo libro. Pediatri di strada racconta le storie che sono entrate in quell’ambulatorio, in via San Siro a Genova, dedicato ai bambini senza “pediatra della mutua” perché figli di stranieri senza permesso. Le storie di Alana, Haylee, Zurina, Alessandro, Milagros…
Il primo paziente si chiama Alan, 11 anni, e per ingannare il tempo in attesa del dottore legge i fumetti Dragonball: viene dall’Ecuador. La seconda della fila è Haylee, 8 anni, che sembra più timida e preoccupata della visita mentre si stringe al fianco della madre: ecuadoriane anche loro. Luminitza, ventisettenne romena, accompagnata tre figlie di 4, 6 e 11 anni. Già che c’è, farà dare un’occhiata a tutte e tre, ma si è fatta un’ora e mezzo di autobus dal quartiere Prato, dove abita, per la più grande. “Vomita spesso, saranno i vermi”, dice preoccupata. Sono i primi pazienti di un mercoledì pomeriggio nell’ambulatorio di pediatria per extracomunitari di Genova, in via San Siro, a due passi da via del Campo e dai vicoli cantati da Fabrizio De Andrè. L’ha aperto, tre anni fa, Paolo Cornaglia Ferraris, il medicus medicorum autore di “Camici e Pigiami”, libro denuncia sui mali della sanità. Licenziato dall’Istituto Gaslini di Genova, dove lavorava come ematologo, ha fondato una onlus cui ha dato il nome il titolo del suo libro; oggi si occupa di assistenza domiciliare, tiene su La Repubblica Salute una rubrica e continua a scrivere libri. In Pediatri di strada (in uscita per Il Pensiero Scientifico Editore) racconta l’esperienza di pediatra di base per i bambini degli immigrati irregolari.
Con un amico medico, Marcello Semproni, nel 2003 alzò per la prima volta la serranda di una ex bottega di ferramenta fatiscente presa in affitto. Oggi il piccolo ingresso è affrescato con le immagini d Mowgli, dal Libro della giungla, e nella altre stanze ci sono quelli dei Fintstones. Appesi ovunque, i disegni colorati dei piccoli pazienti. Seicento euro l’affitto al mese, un piccolo finanziamento della Regione Liguria, farmaci regalati da aziende e informatori scientifici, medici e assistenti volontari. A tre anni dall’apertura sono in 12 e l’ambulatorio è aperto due o tre ore tutti i pomeriggi. Nel 2005 hanno svolto 2.200 visite, erano già a 600 quest’anno, a metà marzo. Le cartelle cliniche sono 1.547.
C’è anche il dentista, uno dei servizi più richiesti. Nell’ingresso un cartello avverte: “Euro 3 per viste dentistiche per acquisto materiale”. È comparso da qualche settimana, spiega il volontario della reception, “giusto per responsabilizzare ma non paga mai nessuno”.
A Genova c’è la comunità ecuadoriana maggiore d’Italia, 38 mila persone, più della metà sono stati raggiunti dalla famiglia per fermarsi stabilmente. Sono soprattutto loro a riempire l’ambulatorio. “Mamme attente, con una cultura molto simile alla nostra“, dice Cornaglia Ferraris. “Poi ci sono le romene, le zingare, molto più distratte. I cinesi non vengono quasi mai perché hanno un circuito tutto loro, più o meno clandestino. Le donne senegalesi si vedono abbastanza. I ragazzini marocchini, preadolescenti o adolescenti, si presentano sempre da soli. Di solito vanno dal dentista per curare i denti marroni, per problemi di genetica dello smalto”.
Come Omar, cui Cornaglia Ferraris dedica un capitolo del libro. Ribelle e abituato a comandare su qualunque femmina, come la maggior parte dei bambini di cultura islamica, “s’offende, protesta, non capisce” se una donna, pediatra, lo mette in fila ad aspettare il proprio turno. Alla fine ha avuto anche lui i suoi denti bianchi. All’ultima visita, prima di sparire, si è portato via il salvadanaio delle offerte e la bicicletta del volontario.
La scabbia è una delle malattie più ricorrenti dei pazienti dell’ambulatorio: colpisce circa 2 bambini su 10. E non è un problema esclusivo degli immigrati. Questi bambini, per i quali la legge Bossi-Fini non prevede l’iscrizione all’anagrafe sanitaria, hanno però l’obbligo di frequenza scolastica: vanno alla scuola materna o alle elementari.
Quando serve qualche esame che si può fare solo in ospedale, o addirittura il ricovero, le parole “urgente-essenziale” sul certificato medico ottengono di solito quanto è necessario. Per il resto si tratta di affrontare i normali problemi dei bambini, lavorando come i medici di 40 anni fa: poca tecnologia e molto buon senso. “Le mamme sudamericane si preoccupano tantissimo per il raffreddamento, i vermi invece li considerano una cosa normale”, racconta Cornaglia Ferraris. “Capita che si trovino in difficoltà a svezzare il bambino: dopo il latte gli danno subito riso, fagioli lenticchie. Ciò di cui c’è bisogno, spesso, sono dentifrici e spazzolini e un po’ di educazione all’igiene personale”.
Realtà diverse in tante città
Come funziona l’assistenza pediatrica per gli extracomunitari? In alcune regioni, come Umbria e Trentino Alto-Adige, gli stranieri senza permesso di soggiorno possono fare riferimento al pediatra di libera scelta per l’assistenza sanitaria dei figli. Altrove si svolgono nei consultori, che però di solito seguono i bambini solo fino ai 3 anni.
Poi c’è l’offerta del privato sociale. A Milano gli ambulatori per extracomunitari, come quella dell’Opera San Francesco in via Bixio, hanno anche il pediatra tra gli specialisti. In Emilia-Romagna molte città offrono ambulatori legati alle asl. La Caritas ha organizzato a Roma una rete tra ambulatori per garantire un servizio di base.
Chiara Palmerini
“Pediatri di strada per i piccoli immigrati”. Panorama, 30 marzo 2006, pp 175-6