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Questa iniqua contrattazione

Nell’agosto 2008 un gruppo di amici, medici di terapia intensiva, diede vita ad un sito online dal titolo più suggestivo che tecnico-professionale: nottidiguardia.it. Uno spazio virtuale dove storie e immagini intendono raccontare una realtà, quella ospedaliera, riservata e sconosciuta ai più: una realtà forse meno spettacolare di quanto venga immaginata, ma tuttavia in grado di suggerire sentimenti e propositi. Ai primi storici autori (il guardiano, Herbert Asch, Giro Batol, Woland), se ne sono via via aggiunti altri (operatori sanitari dalle esperienze più disparate), arricchendo i temi delle narrazioni e favorendo la condivisione di conoscenze molto diverse. Anche i lettori sono cresciuti: da poche decine all’inizio, sono ormai oltre duemila che giornalmente leggono, commentano e sostengono il blog con la loro presenza in rete.

Dall’esperienza – filtrando e organizzando il variegato materiale – si è realizzata l’idea di una raccolta di foto e di brevi testi che, al di là della cronaca, di episodi e protagonismi, riuscisse a lasciare nel lettore un’emozione giudiziosa e pudica, ma capace di memorie e di intenti (Il passo della notte, a cura di Giuseppe Naretto e Marco Vergano. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2009). “Un’impressione – come scritto in epigrafe – di seconda o terza fila, una di quelle tanto schive da starsene sempre al buio e tanto lievi da rimanere impigliate tra le maglie di un sogno”.

Con coerenza etica ed estetica, gli Autori di sedici, rapidi “pezzi” e di una quarantina di fotografie (alcune di rara suggestione) vivono, e sono capaci di trasmettere un sentimento di finitudine insieme di solidarietà che, oltre a richiamare i poli del loro agire professionale, rimanda ai terminali di una presa di coscienza ardua e dolente: “La mia arma di negoziazione è una medicina imprecisa, fallace, impotente… E ciò che mi fa ancora più rabbia è che sarà sufficiente che il prossimo malato abbia la meglio in questa iniqua contrattazione ed io mi sentirò vincente… Ma fino ad allora la felicità verrà spesso sacrificata alla salvezza” (pagine 13 e 14). “E le rassegne stampa che parlano di fegato, reni e cornee, dimenticano che il cuore, quello, l’abbiamo messo noi” e che «tutto il dovuto è stato dato. Tutto si è compiuto” (pagine 31 e 33).

In virtù di tale impegno – rianimare non corpi, ma persone – la sofferenza, la malattia, la morte divengono presenze quotidianamente partecipate: non più soltanto luoghi, ma piuttosto parole, del silenzio; non destini di una culpa per esse, ma interpellanze radicali per una ermeneutica delle esistenze di confine. “È morto?, chiede l’ormai non più assonnata voce – Sì, risponde il medico – Ma come si chiamava? – Non aveva un nome… lui era Antonio, o Franco, o Giovanni, o semplicemente Ombra… lui era tutti noi…” (pagina 75).

Sono, queste, alcune delle “impressioni” sulle quali ci suggeriscono di riflettere queste pagine, metamorfosi dell’evento biologico in esperienza biografica. Così, a volte, la letteratura (anche un piccolo libro) può aiutare la medicina fino all’ultimo dei suoi passi (secondo l’intuizione di Erich Fromm: “l’idea di dover morire senza aver vissuto è insopportabile”); fino – cioè – a recuperare al malato che muore una dimensione condivisa. Perch – mirabile sintesi oraziana – omnes una manet nox: una stessa notte, uguale per tutti, attende ciascuno di noi.

E ciò al fine di andar oltre una cultura, pervenuta man mano, anche in medicina, all’interdizione della morte. A favore, invece, di una medicina che cura, anche se non può guarire.


Recensione pubblicata su Recenti Progressi in Medicina, dicembre 2009.

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