In primo piano

Scelte guidate, scelte sagge

Nella prefazione del libro Uso di psicofarmaci in situazioni cliniche complesse, Michele Tansella sottolinea che il futuro della psichiatria, come quello della medicina in generale, dipende dal rapporto tra conoscenza e cambiamento. Non ci può essere futuro se non si promuove il cambiamento suggerito dalle conoscenze. Come si colloca il vostro lavoro in questo passaggio critico del trasferimento delle conoscenza?

Il nostro lavoro vorrebbe collocarsi nel mezzo, ossia rappresentare un possibile collegamento tra produzione di conoscenza e pratica clinica quotidiana. È interessante notare come le conoscenze provenienti dal mondo sperimentale dei clinical trial vengono oggigiorno riassunte nelle revisioni sistematiche e metanalisi, che però sono di fatto uno strumento utile per i ricercatori ma non per i clinici che mai potrebbero utilizzare documenti di centinaia di pagine, in inglese e con dettagli tecnici spesso incomprensibili, nel proprio processo decisionale. Diventa allora centrale costruire un prodotto che da un lato sia rispettoso delle evidenze scientifiche e dall’altro sia fruibile da coloro che operano assistenza. Le linee guida potrebbero rappresentare questo tassello, a patto che accettino di muoversi nell’ambiguità di una medicina basata sulle prove di efficacia che riconosca che – al di là delle evidenze – vi sono altri aspetti, centrali, che non possono non essere presi in considerazione quando si producono raccomandazioni. Sono aspetti che si riferiscono ai valori, alle priorità, alle preferenze, alle considerazioni di fattibilità e ai ragionamenti sull’utilizzo delle risorse.

Nel progetto avete previsto un ulteriore passaggio importante: documentare e valutare l’esito delle implementazione della linee guida. Quali le finalità?

È chiaro che se l’obiettivo delle linee guida vuole essere indurre un cambiamento, allora il successo di un’iniziativa di questo tipo sta nella quantificazione del cambiamento ottenuto. Se non cambia nulla nelle prassi assistenziale, allora l’iniziativa è inutile. È incredibile notare di come sia sofisticata la metodologia di sintesi dei risultati delle sperimentazioni sotto forma di revisioni sistematiche e metanalisi e di come sia sofisticata la metodologia di sintesi dei risultati delle revisioni sistematiche e metanalisi sotto forma di linee guida. A fronte di questo, sono ancora scarsissime le conoscenze di come le linee guida dovrebbero essere implementate per ottimizzare il cambiamento. Pensate allo sforzo per produrre le linee guida NICE nel Regno Unito e le raccomandazioni delle grandi società scientifiche internazionali: si producono linee guida ma nessuno sa come implementarle, ossia come renderle utilizzabili sul campo per indurre il cambiamento desiderato. Nessuno studia questo aspetto! Allora viene il sospetto che le linee guida non vengano prodotte per indurre un cambiamento nella pratica clinica ma per altri motivi, come per esempio quale strumento di contenimento dei costi, nel momento in cui si dica che un intervento è raccomandato e un altro no, o per esigenze di controllo. Ma l’obiettivo primario delle linee guida dovrebbe essere quello di dare un aiuto agli operatori dell’assistenza finalizzato al miglioramento delle pratiche e quindi degli esiti. Se questo effettivamente avviene, non lo studia nessuno.

Queste linee guida sono dedicate specificamente all’uso di psicofarmaci nelle situazioni cliniche complesse. L’uso dei soli psicofarmaci è sempre sufficiente? Non sarebbe utile disporre di linee guida dove vengono valutati trattamenti psicosociali da integrare e associare ai farmaci?

Naturalmente sì. In ambito psichiatrico non esiste più la contrapposizione tra interventi farmacologici e psicologici, questa è una contrapposizione vecchia, inutile e sciocca. Oggi la questione importante, per i servizi psichiatrici territoriali, è capire quali interventi psicologici, in aggiunta a un utilizzo razionale e consapevole degli psicofarmaci, dovrebbero essere offerti alle persone che chiedono aiuto. Vi sono moltissimi interventi psicologici, brevi, lunghi, individuali o di gruppo, supportati da evidenze spesso contrastanti, come per i farmaci del resto. E allora, quali interventi hanno senso nel setting di un servizio psichiatrico pubblico? Questa è una domanda la cui risposta potrebbe passare da un percorso simile a quello che abbiamo raccontato in questo volume per i farmaci.

Come psichiatra gli capita di dover fare delle scelte sull’intervento terapeutiche sulla base di evidenze “deboli”?

Quasi sempre le evidenze in psichiatria sono deboli. Questo è il motivo per cui le pratiche prescrittive sono eterogenee e contrastanti; e questo è il motivo per cui dotarsi di raccomandazioni è particolarmente importante. Tanto più le evidenze sono solide, tanto più è ovvio come comportarsi e tanto più è inutile avere raccomandazioni. La sfida in psichiatria è fare raccomandazioni senza evidenze solide perché questo significa, come già detto, utilizzare considerazioni altre rispetto alle evidenze: dal buon senso alla esperienza del gruppo di lavoro, dalla fattibilità degli interventi alle scelte di campo di operatori che, a prescindere dalle evidenze, sulla base di valori condivisi scelgono che alcuni interventi sono dentro e altri fuori.

Se lei avesse un finanziamento di 100 mila euro, in quale area grigia della ricerca clinica psichiatrica lo investirebbe?

Centomila euro potrebbero permettere di realizzare un bellissimo progetto sull’uso degli psicofarmaci connesso ai percorsi di cura delle popolazioni migranti che sempre di più affollano i nostri ambulatori. Si tratta di persone con elevato disagio psicologico e psichiatrico, ma ancora non sappiamo con precisioni quali sono i bisogni reali e come rispondere a una richiesta di aiuto che ci mette in difficoltà in quanto non è solo una richiesta di farmaci per curare dei sintomi ma è, soprattutto, una richiesta di punti di riferimento in una fase drammatica della vita.

Per concludere, una curiosità: alla luce di questo lavoro che avete realizzato, quali interventi consiglierebbe di discontinuare in psichiatria se ci fosse un Choosing Wisely psichiatrico?

È banale, ma centrale: tutti gli interventi raccolti nel libro Uso di psicofarmaci in situazioni cliniche complesse hanno senso solo se inseriti nel contesto di in un servizio psichiatrico territoriale funzionante, in cui il trattamento farmacologico venga gestito nell’ambito di una relazione terapeutica improntata alla continuità nei vari contesti assistenziali. Viceversa, senza questa cornice, il singolo trattamento farmacologico non ha alcun senso e valore terapeutico.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *