Fino a che punto il vaccino contro l’influenza mette riparo dalla minaccia ricorrente di finire a letto con febbre alta, indolenziti, in preda al mal di testa o a un torpore debilitante? Gli stent medicati, dispositivi che inseriti nelle coronarie rilasciano lenta mente sostanze antitrombotiche, sono più efficaci di quelli nudi, senza aggiunta di farmaci, nell’evitare l’infarto? La Pet o tomoscintigrafia a emissione di positroni, nuova e costosa tecnica per immagini, offre davvero una maggiore accuratezza diagnostica per i tumori? Tre esempi emblematici della comunicazione imperfetta tra ricerca scientifica e pratica medica. A sostenerlo, con l’intento di spronare a maggiore consapevolezza e senso critico operatori sanitari e gente comune, è Tom Jefferson, medico epidemiologo, nel saggio "Attenti alle bufale" (Il Pensiero Scientifico Editore). L’idea dell’autore è fornire metodi, apparentemente spiccioli, per aiutare chi legge informazioni che riguardano la salute a non cadere in tranelli (per approfondire i criteri di corretta valutazione di ciò che scrivono le riviste scientifiche, e non solo, c’è il sito www.attentiallebufale.it). Partiamo dal primo esempio, il vaccino antinfluenzale. Perché dovrebbe trattarsi di una bufala, visto che autunno gli esperti anticipano catastrofi e ci invitano a farlo? "Il vaccino ci immunizza dai tre virus contro cui è mirato, 1’A (due sottotipi) e il B, che si presuppone circoleranno; ma non ci protegge dalla miriade di agenti infettivi, circa 300 responsabili delle sindromi influenzali che rappresentano di gran lunga la fetta più grande", risponde Jefferson. "Quest’anno con l’aggiunta del bonus pandemia almeno 10 milioni dì italiani dovevano essere a letto. Non è andata così, nessuno degli esperti smentisce se stesso. Agitare lo spauracchio della pandemia influenzale, giocando sull’equivoco che vaccinandosi ci si protegge da tutti i virus dell’influenza, serve solo a vendere più vaccini. Ed è grave che siano enti pubblici a fare previsioni azzardate e a gonfiare i consumi di vaccini in un palese conflitto di interessi". Perché gli esperti si prestano a far circolare messaggi fuorvianti? Cosa li spinge? "Dietro ogni bufala ci sono cattivi maestri, persone che impartiscono in cattive lezioni selezionando o deformando le informazioni disponibili. O semplificando artificialmente i messaggi", scrive Vittorio Demicheli nella prefazione al libro. "Alcuni di questi cattivi maestri agiscono per puro interesse economico, altri per mantenere la propria fama e la propria capacità di influenzare le decisioni. Altre volte per pura e semplice presunzione".
II vaccino antinfluenzale, secondo Jefferson, è un esempio di come i conflitti di interesse occulti riguardino istituzioni che prendono decisioni senza tener conto di ogni evidenza contraria. A chi non padroneggia il metodo scientifico Jefferson cerca di fornire nelsuo agile saggio gli strumenti utili per evitare le trappole della disinformazione: come si valuta un editoriale o un articolo originale, come si leggono le tabelle, come si individua un conflitto di interessi o si soppesa una pubblicità farmaceutica. Il repertorio dei trucchi di cui gli esperti si servono per non essere smascherati è insospettabile. "E i cattivi maestri approfittano della fretta e della pigrizia dei consumatori di informazioni per proporre cattivi messaggi", scrive Demichelli. Tra i fattori che hanno contribuito ad aumentare il numero dei cattivi maestri, il moltiplicarsi delle riviste scientifiche (l’Institute for scientific information indicizza per il famoso impact factor 3.772 periodici); la pressione a pubblicare da parte dei ricercatori per disseminare i risultati della loro ricerca e ricevere così finanziamenti; "la necessità di convertire le nuove conoscenze in nuovi prodotti di mercato, di trasformare il più rapidamente possibile le idee in profitti", scrive Sheldom Krimsky, della Tufts University a Boston, in "Science in the private interest". Un crescendo che ha reso man mano ambivalente l’atteggiamento della gente comune verso la scienza medica, dall’illimitata fiducia allo scetticismo, sottolineava già nel 1995 la sociologa americana Dorothy Nelkin nel saggio "Selling Science", anticipando i dilemmi etici generati dall’intreccio sempre più stretto fra scienza medica e mondo economico. Riflessioni altrettanto amare sul ruolo dell’industria farmaceutica nella ricerca in campo biomedico hanno fatto più di recente l’ex direttore del British Medical Journal, Richard Smith, e Marcia Angell, che per vent’anni ha diretto il New England Journal of Medicine. Due autorevoli compagni di opinioni. "Nei due decenni della mia direzione sono stata testimone della crescente influenza dell’industria farmaceutica sulla ricerca medica che sponsorizzava", scrive Angell nel libro del 2004, "The truth about the drug companies". "Ci sono molti modi per truccare una ricerca, non tutti individuabili, persino dagli esperti. Ovvio che, se li riconoscevamo, li rifiutavamo, ma poi li vedevamo uscire su altri giornali. Capitava che se i risultati erano sfavorevoli, le società farmaceutiche non li facevano pubblicare… Mi sono preoccupata della possibilità che molta della ricerca pubblicata non fosse valida, e spingesse i medici a credere che i nuovi farmaci fossero più efficaci e sicuri della realtà".
I modi per confondere le acque sono tanti. Per tornare al secondo esempio fatto in partenza, si stima che gli stent coronarici medicati a un anno dalla loro introduzione abbiano soppiantato quasi del tutto i modelli poveri nudi. "Per raggiungere lo scopo basta fare una sperimentazione clinica che metta a confronto lo stent medicato con quello nudo più sgangherato possibile, o scegliere un campione insufficiente a dimostrare un effetto sulle morti o sugli infarti e, ancora, disegnare un trial clinico magari solo leggermente diverso dagli altri. Ciò renderà l’esecuzione di una metanalisi, ossia una sintesi quantitativa dei maggiori studi eseguiti, più difficile e si potranno usare i cattivi maestri per criticarla» spiega Jefferson. Un altro modo per fuorviare il lettore è porre un quesito marginale o surrogato, spacciandolo per importante. "Invece di chiedersi se l’uso della Pet favorisca una diagnosi precoce e più accurata, consentendo un intervento che allunghi la quantità e migliori la qualità della vita dei pazienti con tumore, si guarda se la tecnica produce immagini migliori", scrive. La manipolazione avviene sempre agendo sui capisaldi del disegno di studio epidemiologico, facendo, prevalere in qualche modo le strategie del marketing. "E così succede che anche la evidence based medicine, la decantata medicina basata sulle evidenze, diventi strumento per sostenere tesi improbabili" avverte Jefferson. Si sono diffuse strategie che sembrano prendere di mira le persone in perfetta salute trasformandole in malati. Come? Basta rendere più labile la linea che separa i sani dai malati. E ampliare i confini che definiscono una malattia per espandere il bacino dei potenziali pazienti.
"Gli alti e bassi della vita quotidiana diventano disturbi mentali, le più comuni difficoltà sessuali sono disfunzioni e il fatto di essere a rischio di una patologia diventa esso stesso una malattia, vedi un male latente alle ossa chiamato osteoporosi e uomini di mezza età in buona forma con un disturbo cronico chiamato colesterolo alto", scrivono Ray Moynihan e Alan Cassels in "Farmaci che ammalano" (Nuovi Mondi media). Di questi tempi tutto si può vendere. A noi il compito di non far ci confondere dall’autorevolezza della fonte informativa e incrociare sempre i dati (e le dita).
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