Il clistere da sci d’acqua
Al Direttore: … Il clistere da sci d’acqua si verifica quando la vittima, viaggiando a velocità elevata, cade in acqua in posizione seduta, con un angolo craniorettale di 120° e con le gambe abdotte. Nei due pazienti che abbiamo avuto modo di osservare la presentazione clinica consisteva in un dolore crampiforme diffuso a tutto l’addome, con intenso desiderio di defecare. All’esame obiettivo, i glutei presentavano un eritema diffuso, mentre la mucosa anale era esternamente intatta. Durante il periodo immediatamente successivo al trauma si è verificata una defecazione, costituita essenzialmente da grandi quantità di liquido tinto di sangue. Entrambe le vittime ebbero una ripresa priva di complicazioni. Nonostante l’importanza clinica di questa entità morbosa sia minima, riteniamo importante non sottovalutare lo stimolo post-traumatico della defecazione; di conseguenza il proprietario della imbarcazione dovrebbe sempre svolgere accertamenti in questo senso prima di far salire nuovamente a bordo una persona che sospetti di aver subito un clistere da sci d’acqua.
ROGER E. KAISER JR., M.D. DONALD ARMENIA, M.D. ROBERT BARON, M.D. DAVID ARMENIA, B.S. School of Medicine State University of New York Buffalo, NY
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Dermatite da ghiaccioli
Al Direttore: … Poco tempo fa sono rimasto molto perplesso notando la presenza di una lesione papulare, iperpigmentata, ben circoscritta, lateralmente all’angolo destro della bocca di mia figlia. Questo tipo di dermatite non rispondeva n alla applicazione di acqua e sapone n a quella di alcool. Mentre sfogliavo il Journal, sono stato colpito da una fotografia che assomigliava moltissimo alla lesione di mia figlia e mi sono ricordato che recentemente le era presa una vera e propria mania per i ghiaccioli. Quando le ho chiesto in che modo avesse l’abitudine di mangiare i gelati, Mary ha preso una matita e la ha applicata, in maniera inequivocabile, sulla zona interessata. Allora le ho chiesto perché mai non li mangiasse come fanno tutti e la risposta è stata che le davano fastidio ai denti. In effetti, la sensazione di freddo doveva essere piuttosto sgradevole per i suoi incisivi, spuntati da poco. La lettura dell’articolo mi ha evitato un viaggio dal più vicino dermatologo e dimostra anche come sia possibile fare uso della letteratura medica in un modo molto personale.
JOSEPH T. SEMBRO’I’, M.D. Allentown, PA
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Il dito da frisbee
Al Direttore: … Vogliamo descrivere un rischio del gioco conosciuto come «Frisbee», consistente nel lanciare ad uno o più compagni un piccolo disco di plastica. Poco tempo fa abbiamo visitato un giovane di 22 anni, che lamentava dolore al dito medio della mano destra. Il paziente riferì che in quello stesso giorno aveva usato a lungo un «Moonlighter Frisbee» fino al punto di non riuscire a proseguire il gioco a causa di un’abrasione piuttosto dolorosa della superficie laterale della falange prossimale del suddetto dito. Secondo il paziente, l’abrasione aveva avuto inizio sotto forma di lieve sensazione di sfregamento ad ogni lancio e l’intensità era andata aumentando sino a rendere impossibile la prosecuzione dell’attività. L’esame obiettivo mise in evidenza un soggetto vigile, ben orientato nello spazio e nel tempo ed in grado di collaborare alla visita; i parametri vitali erano normali. A livello della superficie laterale del dito medio della mano destra venne rilevata un’abrasione di circa 1.5 per 1.0 cm, con una vescicola contenente liquido sieroso del diametro di 0.5 cm, situata distalmente alla abrasione stessa, sulla superficie anterolaterale dell’articolazione interfalangea prossimale. Una vescicola analoga, del diametro sempre di 0.5 cm, venne rilevata sulla superficie posteriore del pollice destro. Dopo il trattamento della abrasione, al paziente venne consigliato di sospendere la sua attività con il frisbee per almeno due settimane; egli, tuttavia, ignorò il consiglio ed il giorno seguente si presentò nuovamente alla nostra osservazione con un’abrasione nella stessa zona, questa volta di dimensioni aumentate. Entrambe le vescicole erano questa volta rotte e piuttosto sporche. Questo caso illustra la lesione tipica di quello che noi definiamo «dito da frisbee»: abrasione del dito medio della mano dominante, con o senza vescicole sierose distalmente alla abrasione nonch sul pollice della stessa mano. Quantunque a volte sia opportuno svolgere accertamenti ulteriori, ai fini terapeutici in genere è sufficiente interrompere l’attività traumatica. Viceversa, è del tutto inutile applicare una fasciatura di protezione sulla parte lesa, poich l’orlo frastagliato del frisbee finirebbe con il lacerarla oppure vi rimarrebbe impigliato, con gravi ripercussioni sulla precisione del lancio. Secondo le nostre osservazioni, il dito da frisbee è più frequente tra gli abitanti delle città, poich l’uso del disco su superfici dure si traduce in una irregolarità dei suoi margini, che accentua e facilita la sua azione abrasiva sul dito medio. Va precisato, ad ogni modo, che la sindrome è presente anche nei casi di uso eccessivo di dischi a margini lisci e pertanto non può essere esclusa negli individui residenti in zone rurali.
HALLEY S. FAUST MARK L. DEMBERT, M.D. Philadelphia, PA
Al Direttore: Che il gioco a frisbee sia pericoloso è cosa certa: a volte mal può fare, con piccole vesciche sulle dita che renderan difficile lanciare. Il dito del «frisbeesta» ormai va messo col polso del tennista o il pie’ d’atleta: di attività sportiva s’è fatto eccesso com’è successo anche per la dieta. Non voglio contestare l’asserzione che astenersi sia la soluzione; pertanto dico, si stampi su ogni disco: «Voi che lanciate lo fate a vostro rischio». Il gioco certamente andrà avanti pur se all’infermo il disco sfuggirà; ma prima o poi qualcuno affermerà: «È meglio non scherzar coi dischi volanti».
BARRY S. LEVY, M.D. Minnetonka, MN
Nota: Franz Ingelfinger, allora direttore del New England, non ha resistito alla tentazione di concludere lo scambio di corrispondenza sul dito da frisbee con il seguente commento.
Nota della rivista: Il Journal ha appena ricevuto per posta un nuovo libro, dal titolo Frisbee che, secondo il Saturday Review, «non andrebbe preso alla leggera». Il suo autore è uno psichiatra, il dottor Stancil E.D. Johnson… Il libro contiene un capitolo, scritto dal dottor Roger Woods, intitolato «Gli aspetti medici del frisbee»… Il dito da frisbee, secondo il dottor Woods, consiste essenzialmente in una lesione del letto ungueale che, nei casi più gravi («grado III»), può provocare il distacco dell’unghia. L’applicazione di «Band-Aids» sembra preferibile a quella di «cerotto adesivo» raccomandata dai nostri lettori mentre, come rimedio temporaneo, il dottor Woods raccomanda di immergere il dito in birra ghiacciata. Il dottor Ingel Finger riconosce che il «dito da frisbee» non ha purtroppo ricevuto l’attenzione che merita sulle pagine della nostra rivista (Il Direttore).
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Un costume scostumato
Al Direttore: La scorsa estate è stato posto in vendita un nuovo tipo di costume da bagno. Conosciuto con il nome di Unsuit, è composto al 100% di cotone tessuto con una trama particolare, che permette la penetrazione dei raggi ultravioletti e rende possibile abbronzarsi anche «là dove non batte il sole» (come recita la sua pubblicità). Il fabbricante asserisce che il costume ha un fattore di protezione equivalente a 6 (vale a dire che per provocare una scottatura è necessaria una quantità di radiazioni ultraviolette sei volte superiore a quella che può scottare la cute non protetta). Nel tentativo di valutare il reale valore protettivo del costume, abbiamo eseguito diverse misurazioni delle radiazioni ultraviolette di tipo B… confrontandole con misurazioni analoghe eseguite attraverso il materiale del costume… Oltre a questo, abbiamo anche calcolato le dosi eritematogene minime in soggetti volontari, riferite a zone di cute normalmente coperte (a livello dei glutei), con e senza il costume… Il costume stesso è attraversato da una quantità notevole di raggi solari (carcinogeni), che colpiscono zone del corpo normalmente coperte. Alla luce di questi risultati, riteniamo che l’uso della parola «protezione» possa essere inappropriato. È noto che l’esposizione ai raggi del sole rappresenta il fattore di rischio principale ai fini della comparsa di tumori della cute; in particolare, il rischio di melanoma maligno sembra essere correlato con il numero di ustioni solari, particolarmente tra i dieci ed i trenta anni. Questo rischio è maggiore nelle persone che lavorano al coperto e che svolgono attività ricreative all’aperto e che di conseguenza tendono a presentare ustioni in zone del corpo normalmente coperte. La distribuzione anatomica dei melanomi (più frequenti sul tronco degli uomini e sulle gambe delle donne) sembra confermare questo dato. Infine, Holman (dati non pubblicati) ha dimostrato che, nelle donne tra i 15 ed i 24 anni, il rischio è correlato con il tipo di costume da bagno indossato e, nel caso del bikini o delle donne che praticano il naturismo, è 52 volte superiore rispetto al costume ad un pezzo. Questi reperti suggeriscono che l’esposizione ai raggi solari di zone normalmente coperte comporti un rischio particolare di tumori della pelle, compreso il melanoma. Riteniamo quindi che i consumatori (particolarmente se a rischio di tumori della cute) dovrebbero essere avvertiti dei possibili rischi a lungo termine associati con l’Unsuit.
DARRRELL S. RIGEL, M.D., ALFRED W. KOPt’, M.D. DAWN I. GREENWALD, M.D., LAURIE J. LEVINE, M.D. ROBERT J. FRIEDMAN, M.D. New York University Medical Center New York, NY
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Scienza da spiaggia
Al Direttore: Nel corso di una vacanza in Florida ho unito l’utile al dilettevole eseguendo una ricerca su 100 bagnanti, presentandomi a ciascuno di loro e dicendo di essere un ricercatore di genetica e che desideravo osservare i loro piedi. Registravo le mie osservazioni, li ringraziavo per la loro disponibilità e mi dirigevo all’ombrellone successivo. Le persone in genere mi ponevano due domande: perché volessi guardare i loro piedi (e cosa questo significasse) e se fossero «normali». La mia opinione è che una popolazione di bagnanti offra al ricercatore clinico diverse opportunità: in primo luogo, le persone sono in genere poco vestite ed eseguire una visita non richiede grande preparazione (nel mio caso non dovevano neanche muoversi). In secondo luogo, non hanno altro da fare che starsene sdraiate e, essendo piuttosto annoiate, sono ben liete di prendere parte ad una «ricerca medica»; in effetti nessuno si è sottratto alla mia richiesta e solo una donna mi ha chiesto se fossi di Candid Camera. In terzo luogo, una spiaggia popolata di persone è abbastanza rappresentativa della popolazione generale e la sua concentrazione è tale che in poco tempo è possibile esaminare un gran numero di persone. Infine, non si deve trascurare il vantaggio di unire il lavoro scientifico con i benefici dell’aria marina e dei raggi ultravioletti. Una popolazione di questo tipo è in grado di soddisfare i requisiti di diversi progetti clinici, relativi ad esempio a variazioni anatomiche, definizione di valori normali, salute pubblica e statistiche biomediche. Ma non solo: è possibile persino eseguire analisi biochimiche, chiedendo ad esempio alle persone di bere un campione radio-marcato e tornare più tardi per raccogliere un campione di urina al riparo di una cabina. Le persone da me incontrate erano tutte disponibili ad essere visitate ed interrogate e si sono fidate della parola di un medico scalzo ed in costume da bagno, senza nemmeno chiedere di esaminare le sue credenziali. Ho senz’altro incontrato maggiore resistenza nei pazienti ricoverati in ospedale, nonostante indossassi i miei paramenti al completo (camice bianco, valigetta nera e stetoscopio). Forse è solo un problema di luce: chissà che un po’ più di sole nei reparti non renda i pazienti più fiduciosi!
RICHARD E. CY’rowic Bowman Gray School of Medicine Winstom-Salem, NC
25 luglio 2007
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