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Tutti a scuola… e cominciano i dolori

 
Mente-corpo, un rapporto difficile per il pensiero occidentale: a che punto siamo oggi?

Ancor oggi la scienza medica tende ad affrontare il corpo e le sue manifestazioni di sofferenza attraverso un atteggiamento sostanzialmente oggettivante: la necessità di conoscenze specialistiche e il considerevole numero degli assistiti possono rappresentare  condizioni che favoriscono nel medico un ruolo sempre più tecnico, nonostante si evidenzi nell’attività clinica la necessità di comprendere e rispondere ai bisogni del paziente come un unicum caratterizzato da una stretta interrelazione tra soma e psiche. Da qui l’ importanza di una visione più ampia della psicosomatica che permetta di comprendere l’individuo valutandolo da prospettive diverse.

In che modo?

Le condizioni di sofferenza e di malattia sono rivelatrici di un’integrità psicosomatica che richiede, per essere compresa, una visione multidimensionale e complessa cui la scienza tradizionale non sembra essere ancora preparata.
Attualmente sembrano in aumento, specie nei giovani, le manifestazioni somatiche come espressione non solo di una sofferenza corporea ma anche di un malessere più profondo nell’ambito del quale il soma diviene il canale privilegiato per esprimere un disagio più ampio.

Il rapporto che fonda la psicosomatica si complica quando si tratta di bambini?

È noto come l’uso del corpo come mezzo di espressione di tensioni interne sia frequente nel bambino, poich il funzionamento mentale può essere ostacolato nel suo divenire o non pienamente raggiunto. Il bambino esige, infatti, un’osservazione non “settoriale” in quanto lo sviluppo normale o patologico si riferisce ad un organismo in piena maturazione sia fisica che psichica in interazione costante con l’ambiente la cui unicità non deve essere mai persa di vista.
Nel bambino l’integrazione psicosomatica avviene all’interno di una matrice relazionale carica di scambi affettivi. Le ricerche più recenti hanno confermato come la disponibilità emotiva, da parte delle figure primarie di accudimento, ad accogliere, elaborare e tollerare gli stati affettivi del bambino costituisce un fattore importante per lo sviluppo delle sue capacità autoregolative in quanto questi processi sono alla base dell’integrazione psicosomatica. L’attuale orientamento conviene nel considerare l’alterazione del rapporto psiche-soma come disturbo della capacità di ricezione degli stimoli interni e della loro discriminazione e differenziazione degli aspetti emozionali.

E quando si parla di ragazzi?

Per quanto riguarda l’adolescenza, il mutuo influenzarsi di dimensioni psicologiche e biologiche è particolarmente evidente in questo periodo evolutivo durante il quale a compiti legati allo sviluppo fisico si sommano, immancabilmente, confronti nuovi con il contesto di vita – in termini psicologici, sociali e culturali – ed il corpo può costituire una “via privilegiata di espressioni dei disagi dell’adolescente”, il quale tende ad “agire” i propri stati d’animo ed i propri conflitti più che a mentalizzarli.

Rientro a scuola: mal di pancia, mal di testa… malesseri che possono accompagnare molti bambini. Come affrontarli?

La cefalee e i dolori addominali ricorrenti (DAR) rappresentano i disturbi somatici più comuni in età pediatrica in cui la componente d’ansia è fortemente presente. Un  aspetto che riveste un’importanza del tutto peculiare in età evolutiva – e che, pertanto, va tenuto nella massima considerazione al momento in cui si approfondisce il “significato” del sintomo in questa fascia d’età – è rappresentato dall’ambiente scolastico con cui il bambino si trova immancabilmente ad interagire.
È chiaro che la scuola rappresenta una delle prime occasioni di confronto con adulti di riferimento, diversi dai genitori, che si pongono nei confronti del bambino anche con un ruolo di controllo e giudizio. A ciò si aggiungono altri aspetti legati ai processi di socializzazione, al confronto diretto con i coetanei.

Cosa si nasconde dietro mal di testa e mal di pancia?

La possibilità di identificare cause organiche specifiche che spieghino la sintomatologia va attentamente valutata. In presenza di cefalee e dolori addominali ricorrenti, nella pratica clinica, è molto frequente riscontrare problemi scolastici, familiari e di socializzazione, “sintomi” di problematiche di tipo psicologico. Una fobia scolare sottostante al sintomo cefalea è molto diffusa. Ed inoltre uno scarso rendimento scolastico può essere “giustificato” dal frequente incorrere di crisi cefalalgiche, che rischiano di innestare un circolo vizioso autoperpetuantesi, potendo, tra l’altro, allontanare il bambino dalla scuola. Può ad esempio accadere che il bambino viva con ansia non tanto la dimensione scolastica, quanto l’allontanamento dal suo ambiente familiare. Cambiamenti a livello familiare (dalla nascita di un fratellino fino all’acuirsi o all’insorgere di un conflitto tra i genitori che può, magari, minacciare la separazione), anche se non direttamente comunicati, possono essere recepiti dal bambino, che può cadere in uno stato di angoscia.

Non è tutta colpa della scuola dunque?

Ricondurre genericamente il mal di testa o il mal di pancia allo “stress scolastico” significa ingenerare un meccanismo di delega nei confronti della scuola o degli insegnanti, non riconoscendo, ad esempio, che il rapporto genitore-figlio può ruotare eccessivamente attorno alla dimensione scolastica. Il bambino può arrivare a sentirsi accettato o amato dal genitore in funzione dei suoi successi scolastici, vivendo con molta ansia tutto quanto concerne aspetti legati alle sue prestazioni a scuola, fino ad investire altri aspetti della sua vita che si muovono su uno sfondo di competitività.

Come potrebbero facilitare questo momento gli insegnanti?

Dobbiamo evitare facili generalizzazioni. Comprendere il tipo di relazione esistente tra un disturbo somatico e scuola implica un’analisi della situazione in cui tutti gli aspetti legati ai processi di apprendimento e socializzazione, all’ansia rispetto alle proprie prestazioni, alle aspettative e dinamiche familiari, vengano attentamente vagliati anche dagli insegnanti, in modo tale da realizzare una lettura contestualizzata del disturbo. Tutti questi elementi si presentano in una reciproca modulazione sullo sfondo di una realtà situazionale di volta in volta differente.

Ci spieghi meglio?

Assumere aprioristicamente, ad esempio, che il mal di testa o il mal di pancia del bambino sia “inventato” o rappresenti “solo una scusa” per evitare i suoi obblighi e impegni scolastici rischia di etichettarlo semplicemente come “svogliato o sfaticato”o, a volte, come un “bugiardo”, non riconoscendo che tali sintomi possono esprimere un disagio di diversa origine.

Quali strumenti dare al genitore per cogliere i sintomi significativi e riportarli correttamente al pediatra?

Gli atteggiamenti fatalistici o riduttivi che possono a volte assumere i genitori nei confronti del disturbo presentato da figlio, rischiano di non far considerare adeguatamente il problema nella singolarità con cui si presenta. È importante osservare se la presenza del disturbo somatico si associa ad un fattore scatenante, come ad un evento di vita negativo; spesso una malattia e/o ospedalizzazione di una persona cara, un fallimento scolastico, difficoltà coniugali, un lutto possono scatenare il disturbo. Ed, inoltre, va valutata la presenza di problematiche psicologiche concomitanti (enuresi, balbuzie, tic, ansia, disturbi del sonno, difficoltà alimentari). La presenza di elementi psicopatologici associati a tale disturbo ha un valore prognostico negativo che può contribuire alla sua cronicizzazione o trasformazione del sintomo.

E il pediatra?

Questi aspetti dovrebbero essere presi in considerazione dal pediatra in quanto sottolineano l’importanza di un’individuazione precoce di disturbi inquadrabili in termini di somatizzazione e, di conseguenza, la pianificazione di un intervento formulato in un’ottica “integrata” medica e psicologica, e di un tipo di trattamento calibrato rispetto alle caratteristiche del singolo paziente

Come creare una corretta sinergia tra i vari attori: insegnanti, genitori, pediatri, psicologi, specialisti?

È importante valutare e considerare non solo gli aspetti biomedici ma anche quelli psicologici e sociali. Cio è vero al momento della diagnosi ma soprattutto nella scelta dell’intervento all’interno di un programma terapeutico più ampio.
Difficilmente è possibile effettuare all’interno di una stessa struttura sanitaria l’integrazione di trattamenti medici, psicologici, riabilitativi, educativi e sociali. Secondo il modello sanitario tradizionale è il medico che valuta il disturbo e se non viene accertata e quindi esclusa una causa organica suggerisce al paziente di rivolgersi allo psicologo.

Lo psicologo non è sempre ben visto dai genitori…

Non sempre questo suggerimento è facilmente accettato dai genitori che possono avere difficoltà a riconoscere un problema emotivo nel figlio.
Sarebbe auspicabile favorire negli ambulatori sin dall’inizio una valutazione globale che permetta al paziente di entrare subito in contatto sia con il medico che con lo psicologo evitando gli invii da un clinico all’altro. Ed, inoltre il trattamento affidato a medici e psicologi, dovrebbe avere lo scopo di coinvolgere il bambino, la famiglia e la scuola.

 

12 settembre 2007

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