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Una visione sistematica dello scompenso

Intervista a Luigi Tarantini, Struttura complessa di Cardiologia, Azienda Ospedale San Martino, ASL n. 1, Belluno
Le linee-guida statunitensi ed europee sottolineano l’importanza della prevenzione dello scompenso cardiaco. Quali le figure professionali coinvolte nella prevenzione di questa patologia?

La prevenzione nella concezione tradizionale della pratica medica e intesa come prevenzione primaria, cioè impedire lo sviluppo di malattia negli individui sani che presentano fattori di rischio, è compito della medicina territoriale dove il ruolo principale viene ricoperto dai medici di base. Nel caso dello scompenso cardiaco, trattandosi di una malattia che interessa diverse categorie di pazienti, che vanno dal “cardiopatico” con cardiopatia ischemica ed ipertensiva al diabetico, nonch al paziente con malattie respiratorie o che soffre di malattie reumatiche, oppure ai soggetti in trattamento per malattie neoplastiche, la prevenzione “primaria” interessa anche i medici specialisti tra cui, soprattutto, gli internisti coinvolti nella cura della maggior parte di questi pazienti. È centrale infine il ruolo dei cardiologi sia per il ruolo ricoperto nella diagnosi sia per la gestione della terapia impostata su canoni evidence-based medicine, cioè di efficacia e di efficienza. La terapia deve inoltre essere finalizzata all’identificazione e rimozione delle cause eliminabili che portano il cuore verso lo scompenso (ad esempio, il trattamento efficace dell’ischemia o dell’ipertensione) oppure al rallentamento della progressione della disfunzione ventricolare verso lo scompenso cardiaco conclamato qualora le cause non siano rimovibili (ad esempio, la terapia con beta-bloccanti ed ACE-inibitori nel caso dei pazienti con disfunzione ventricolare sinistra post-infartuale).

E il dirigente ospedaliero?

Il dirigente ospedaliero entra in gioco per la conferma del sospetto diagnostico e, in alcuni casi, anche nella “gestione” della terapia. Per quel che concerne il “momento” diagnostico, gli esami strumentali sono generalmente poco disponibili nel contesto extra-ospedaliero. Basti pensare al ruolo fondamentale dell’ecocardiografia che rappresenta il gold standard per la diagnosi, l’inquadramento fisiopatologico, l’indirizzo eziologico e la stadiazione della compromissione ventricolare; oppure, ad esami più complessi per confermare l’eziologia della disfunzione ventricolare (ad esempio, scintigrafia miocardia o addirittura il cateterismo cardiaco con coronarografia). Il dirigente ospedaliero rappresenta inoltre una figura di primo piano anche nella gestione della terapia e nel follow-up dei pazienti “complessi” o perché affetti da molteplici patologie (comorbidità), o perché inseriti nei programmi “avanzati” di prevenzione, intesa questa volta come prevenzione secondaria (cioè impedire lo sviluppo dello scompenso nei pazienti con cardiopatia organica) e terziaria (cioè stabilizzare i pazienti con scompenso conclamato e impedire la progressione della malattia verso stadi più avanzati).

Come si sta muovendo l’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO)?

Per quanto riguarda l’ambito della prevenzione dello scompenso, che in accordo con la recentissima revisione delle linee-guida della Società Europea di Cardiologia (SIC), rappresenta un obiettivo primario del trattamento dello scompenso, l’ANMCO è attivamente interessata su più fronti: formazione, organizzazione e ricerca clinica.

E per quanto riguarda nello specifico la prevenzione dello scompenso?

L’ANMCO è attiva anche su questo fronte. Ad esempio, per quel che riguarda la promozione della ricerca nel campo della prevenzione dello scompenso, è imminente il lancio di uno studio sulla prevalenza e incidenza della disfunzione ventricolare sinistra nei soggetti diabetici senza cardiopatia nota. Tale studio, denominato con l’acronimo DYDA (ventricular dysfunction in diabetes) si prefigge anche il duplice scopo di elaborare un percorso razionale per lo studio della funzione cardiaca del paziente diabetico non complicato da cardiopatia clinicamente manifesta e, soprattutto, “favorire” la collaborazione e il dialogo tra diabetologi e cardiologi: figure mediche importanti per la salute di tali pazienti e che di solito non collaborano molto tra loro prima che si sviluppino complicanze che possano gravare seriamente la prognosi delle persone affette da diabete. Sono poi in fase di elaborazione altri progetti: nell’area scompenso stiamo valutando la possibilità di promuovere uno studio collaborativo nazionale tra medici di medicina generale e cardiologi finalizzato allo screening della disfunzione ventricolare asintomatica nei pazienti ad alto rischio cardiovascolare (pazienti con cardiopatia ischemica, diabetici e ipertesi con danno d’organo, pazienti con insufficienza renale e così via). Infine – sempre relativamente allo screening – è già in fase di preparazione avanzata la creazione di un registro sulle cardiomiopatie familiari.

Cardiologi, medici di medicina generale e internisti dispongono di linee-guida italiane per lo scompenso?

È disponibile un documento elaborato alcuni anni fa dall’ANMCO in collaborazione con la SIC. Tale documento è tuttavia sostanzialmente datato, perché notevolmente precedente alle attuali linee-guida statunitensi e a quelle europee del 2001 (quest’ultime revisionate nel mese di maggio 2005) in cui si dà notevole risalto alla prevenzione della malattia. Ora l’Area Scompenso e l’Area Management & Qualità dell’ANMCO hanno avviato, insieme a rappresentanti di altre associazioni mediche coinvolte nella cura dei pazienti con scompenso cardiaco, un progetto di Consensus Conference per tentare di elaborare dei “modelli” di gestione dei pazienti affetti da scompenso cardiaco, nell’ottica del documento sulla organizzazione funzionale della cardiologia elaborato dalla Federazione Italiana di Cardiologia nel 2003.

In pratica il progetto vuole elaborare delle linee-guida applicabili nel territorio italiano?

L’idea va al di là delle tradizionali linee-guida: l’idea – forse un po’ audace – è quella di elaborare un documento “a più mani” che serva da “consenso” per la gestione dello scompenso cardiaco a seconda del tipo di paziente e che superi il problema delle linee-guida che spesso di rilevano di difficile interpretazione pratica. L’idea è quella di partire, come nelle linee-guida tradizionali, dall’analisi critica della letteratura ma vorremmo arrivare a definire anche i modelli per la gestione concreta dei pazienti, possibilmente da “testare” sul campo con sperimentazioni ad hoc al fine di capire quanto siano generalizzabili nella pratica clinica corrente. Lo scopo principale è quello di superare quello che è l’ostacolo principale nella gestione di questi pazienti: la mancanza di una continuità assistenziale e la condivisione delle conoscenze/competenze.

Nel libro “La prevenzione nello scompenso cardiaco” (Roma, Il Pensiero Scientifico Editore, 2005) viene sottolineato il paradosso apparente di un progressivo aumento della prevalenza dello scompenso cardiaco a fronte di una riduzione delle malattie cardiovascolari e a un miglioramento della terapia medica. Come spiegarlo?

Il paradosso è effettivamente apparente. Da un lato abbiamo un effettivo miglioramento della sopravvivenza nei pazienti affetti da scompenso per il reale miglioramento della terapia: i pazienti affetti da scompenso cardiaco oggi sopravvivono di più rispetto agli anni 50-70 del secolo scorso e questo incide sui dati della prevalenza della malattia. D’altro canto è innegabile una sostanziale stabilità dell’incidenza (secondo alcuni addirittura un aumento) della malattia per innumerevoli cause: l’invecchiamento generale della popolazione (la classe d’età a maggior rischio di sviluppare insufficienza cardiaca), la drastica riduzione della mortalità per complicanze “acute” (soprattutto aritmiche) della cardiopatia ischemica e dell’infarto, il miglioramento della sopravvivenza dei pazienti affetti da altre patologie predisponesti, quali il diabete e l’ipertensione, che spesso non vengono trattate in modo ottimale e portano in tal modo a posporre nel tempo e a determinare lo switch nelle complicanze (ad esempio, meno mortalità per infezioni nel caso dei diabetici ed è raro oggi che i pazienti con ipertensione arteriosa vadano incontro a morte per uremia). Nell’insieme questi fattori determinano, inevitabilmente, un aumento della prevalenza della malattia che rappresenta lo stadio finale di molte cardiopatie spesso non trattate al meglio nei loro stadi iniziali. Un esempio eclatante è rappresentato dall’ipertensione, cioè la condizione di rischio epidemiologicamente più diffusa e rilevante, a livello di popolazione, per lo sviluppo di scompenso cardiaco: nei trial in cui si confrontano i farmaci vs placebo i pazienti trattati hanno una riduzione dell’incidenza di scompenso cardiaco variabile tra il -20% e il -50% rispetto ai pazienti del braccio di controllo con placebo. Se si va poi a vedere quello che succede in comunità si riscontra che appena il 20-30% degli ipertesi ha un controllo “ottimale” della pressione arteriosa.

Quali sono i problemi ancora irrisolti su cui puntare per una migliore gestione dello scompenso?

Il problema è multiforme e dettagliatamente sottolineato dal dottor Di Pasquale nella prefazione del libro. Innanzitutto, è fondamentale aumentare la soglia dell’attenzione: lo scompenso cardiaco è infatti una patologia di difficile gestione perché rimane asintomatica nei primi stadi, quando si può fare molto ed i farmaci a disposizione sono più efficaci. Le manifestazioni cliniche spesso si estrinsecano quando si arriva agli stadi avanzati, più letali e più difficili da gestire oltre che onerosi per il sistema sanitario. Un’altra priorità è quella di trattare in maniera adeguata e aggressiva la malattia in chiave di prevenzione secondaria e terziaria: la mancanza di un trattamento non ottimale costituisce oggi una delle più frequenti cause di mancato controllo e di destabilizzazione della malattia, che possono portare a morte e all’ospedalizzazione dei pazienti e di conseguenza aumentare i costi in termini di vite e di risorse sociali ed economici. Infine, un problema fondamentale è relativo alla scarsa comunicazione tra le figure professionali coinvolte nella cura dei pazienti e, talvolta, alla mancanza di competenze specifiche che conducono a scelte terapeutiche non ottimali per la riduzione della mortalità. Il libro “La prevenzione nello scompenso cardiaco”, che presenteremo al congresso dell’ANMCO, cerca di sottolineare queste problematiche irrisolte e tenta di fornire alcune risposte

Il libro vuole sensibilizzare la comunità medico scientifica a questo problema sanitario?

Nato dalla collaborazione tra Area Scompenso ed Area prevenzione dell’ANMCO, questo volume rappresenta un prezioso strumento di analisi dello scompenso cardiaco in una logica di prevenzione (primaria, secondaria e terziaria) e del trattamento precoce della malattia. Ci auguriamo che incontri il favore dei lettori e lavori in questa direzione: responsabilizzare sempre più le figure professionali coinvolte nella cura dei pazienti scompensati o a rischio per lo sviluppo della malattia.

Certamente non basta fare tanta ricerca senza che ci sia una corretta ed efficace informazione e sensibilizzazione. L’epidemiologia clinica sta portando sempre nuove conoscenze, ma quante informazioni arrivano alle figure professionali coinvolte?

Ancora troppo poco purtroppo. Il fatto che le attuali linee-guida internazionali sottolineino e ribadiscano l’importanza di aggredire negli stadi precoci la malattia è un’esigenza imposta dall’evidenza che probabilmente non abbiamo a disposizione – a tempi brevi – più armi e risorse per cambiare la storia naturale della maggior parte dei pazienti nelle fasi avanzate della malattia e invertire in tal modo il trend epidemiologico e di mortalità. A livello pratico, per la gestione dei singoli pazienti e nella logica della prevenzione, secondo noi si può fare ancora molto perché siamo ancora lontani da una corretta sensibilizzazione. Non è scontato, ad esempio, per il medico di medicina generale considerare il paziente iperteso come potenziale candidato allo sviluppo di uno scompenso diastolico, oppure per il diabetologo pensare che la malattia metabolica, indipendentemente dalla cardiopatia ischemica, comprometta frequentemente il muscolo cardiaco, raddoppiando così il rischio di scompenso. Purtroppo le linee-guida non indicano nel dettaglio come fare e cosa fare per prevenire la malattia. Per tale motivo come Aree prevenzione e scompenso dell’ANMCO abbiamo deciso di raccogliere in un volume informazioni e nozioni sparse in letteratura, cercando di fornire una risposta ai singoli punti evidenziati come importanti dalle linee-guida per prevenire lo sviluppo della malattia con aspetto “pratico” ma esauriente nel tradizionale “stile ANMCO”.

Quanto fatica vi è costato questo lavoro di raccolta?

Per quanto mi riguarda tanta ma alla fine appagante! Il ruolo di coordinatore per la stesura di un libro di 20 capitoli scritti da 20 autori diversi ha richiesto certamente molto impegno ma mi ha dato molta soddisfazione per l’entusiasmo dimostrato dagli specialisti coinvolti che si sono trovati a scrivere di una patologia di cui sanno molto ma con un ottica diversa. Vorrei poi sottolineare che questo volume è venuto alla luce anche grazie al lucido e paziente lavoro redazionale di Benedetta Ferrucci.

 

1 giugno 2005

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