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Non è più tempo di maestri
Lavoro e professione |
Può dire di avere avuto un Maestro?
Per fortuna no, almeno in senso strettamente professionale. Come diceva Einstein, “il rispetto dell’autorità è il più grande nemico della verità”. Soprattutto in Medicina, oggi non è più tempo di maestri. Ciascuno può essere maestro di se stesso, sapendo di avere a disposizione tutte le fonti informative necessarie per la propria crescita professionale. Un vero Maestro comunque l’ho avuto. Il mio maestro di tennis quando avevo 15 anni, un personaggio straordinario. Apolide, nato in Egitto, di famiglia francese, vissuto a lungo anche in Germania. Parlava italiano, inglese, francese, tedesco e arabo, viveva in una casa in cima a una collina con una bellissima moglie e molti figli. Insegnava il tennis in modo del tutto personale, ed era anche un eccellente pittore e scultore. Non ho mai imparato a giocare bene come lui, ma abbiamo trascorso molto tempo insieme. La sua frequentazione mi ha fatto capire, in un’età cruciale, quanto fosse importante sapersi muovere contemporaneamente in vari ambiti esistenziali e culturali. Credo che mi abbia lasciato un segno permanente. Se tornasse indietro, rifarebbe le stesse scelte professionali? Più che fare scelte ho seguito alcune porte che si aprivano inaspettatamente lungo il mio cammino. Non vorrei fare troppo il filosofo, ma ritengo che, come diceva Eraclito, al timone delle nostre vite ci sia davvero il fulmine. Mi sono laureato in Medicina e specializzato in Psichiatria, ma poi, dall’attività clinica praticata per oltre venti anni, mi sono progressivamente spostato verso l’area del Governo Clinico, essendo stato prima, per anni, anche responsabile della Comunicazione dell’Azienda Usl di Bologna; nel frattempo cresceva la mia esperienza di giornalista scientifico, e ancora oggi affianco la collaborazione con il Corriere della Sera al resto della professione. Arduo, in questo ginepraio, raccapezzarsi su quali possano essere state le mie scelte e quali le porte che si sono aperte risucchiandomi dentro. Per esempio, la porta del giornalismo scientifico si è aperta una notte che ero al timone di una barca a vela durante una traversata. Roberto Satolli, che ritengo il più autorevole giornalista scientifico italiano, è salito su da sottocoperta per bere un caffé con il timoniere, che non conosceva. Abbiamo parlato per ore, e prima dell’alba mi aveva affidato il coordinamento di un numero speciale di Tempo Medico, di cui all’epoca era capo redattore, dedicato alla rivoluzione che in quegli anni stava sconvolgendo la psichiatria. E quel numero di Tempo Medico, alla fine, lo scrissi quasi tutto io.Scrivere quanto spazio toglie al “mestiere” primario? Scrivere è notoriamente anche un modo per pensare in maniera più specifica. Dà forma ai pensieri, costringe a verificare quello che si dice molto più di quanto si faccia mentre si parla. Quindi cerco di scrivere tutte le volte che posso, con incursioni anche al di fuori dell’ambito della Medicina, e in certe fasi della mia vita scrivere è stato il “mestiere” primario. Il mio blog (Scire) è però un blog professionale destinato agli operatori sanitari, che tratta temi connessi all’EBM e all’umanizzazione in Medicina. Cerco di pubblicare almeno due post al mese e sono quasi arrivato al post numero 100. Qual è la parte del suo lavoro più gratificante? E quella più noiosa? Come il commissario Maigret: mi piacciono le relazioni umane, rifuggo, per quanto possibile, i resoconti. Mi piace il lavoro che guarda avanti, che crea aspettative. Quale forma di aggiornamento le sembra più utile? Leggere, andare ai congressi, e-learning… Tutto insieme, anche se per me funziona soprattutto l’autoapprendimento, perché può essere modulato secondo le reali necessità. Non riesco a imparare in maniera lineare e strutturata, vengo sopraffatto dalla noia e dalla disattenzione, chissà, magari soffro di una qualche forma di attention deficit disorder. Devo imparare a chiazze di leopardo, poi iniziare a fare mentre ancora non so tutto, e man mano riempire i buchi con ciò che mi serve momento per momento. Di conseguenza per me è importante l’aggiornamento quotidiano, quasi sempre su Internet o sul campo, che riempie i buchi. Ad esempio trovo incredibilmente stimolante il lavoro che faccio con gli altri professionisti sanitari nella stesura dei Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali (PDTA): ogni volta esco dall’incontro che ho imparato almeno cento cose nuove. Qual è la sua rivista professionale “preferita”? Risposta certamente scontata, ma obbligata: il BMJ, rivista innovatrice. Le capita ancora di sfogliare l’edizione cartacea di una rivista o consulta la letteratura solo su web? No, per me niente più carta per la letteratura scientifica. |
Ricordi, passioni e curiosità… |
Qual è la prima cosa che farebbe se fosse Ministro della salute?
Acquisterei una bacchetta magica e farei sparire il conflitto di interesse dalla Medicina e dalla sanità. Qual è stato il suo primo “esame”? Se devo dire la verità, quando per la prima volta, a dodici anni, ho baciato una ragazza. Prima di farlo sembrava una cosa strana e tremendamente complicata… Qual è il suo più grande rammarico? Mi sarebbe piaciuto studiare l’uso della voce e magari fare un po’ di teatro. Ma ho solo 57 anni e ho qualche idea in mente, in proposito. Può dirci una cosa che l’appassiona veramente? Una no, almeno due: il lavoro e il tempo libero. In cucina preferisce stare ai fornelli o a tavola? Ai fornelli, insieme a mia moglie e mia figlia. A tavola tendo a starci poco, preferisco essere quello che si alza per servire gli altri. Qualche volta mi accusano di cucinare porzioni troppo scarse, come se il bello fosse appunto cucinare, e non mangiare. Provengo da un paese di mare nel quale c’è una tradizione di uomini cuochi di pesce. Una volta siamo andati in Turchia in barca a vela in sette, tutti dello stesso paese, amici da sempre, tutti maschi e tutti cuochi, di pesce in particolare. In coperta avevamo i vasi con le erbe aromatiche, come negli antichi velieri. Quando arrivavamo nelle baie o nei porti e cominciavamo a cucinare, i profumi si spandevano nell’aria e dagli oblò delle altre barche spuntavano teste a ripetizione, per annusare. Qualcuno finiva per autoinvitarsi. |
Lettura, cinema e teatro |
Il suo romanzo preferito?
Small World di Davide Lodge, pubblicato in italiano con il titolo Il professore va al congresso. Ma il mio libro del cuore è il resoconto di un viaggio per mare intitolato Vagabond dans les mers du sud di Bernard Moitessier, grande velista solitario francese. Lo rileggo più o meno ogni due-tre anni, per sognare. Racconta di quando le barche erano di legno, le vele e le scotte di cotone, niente diavolerie elettroniche a bordo, ma solo bussola e sestante, e i velisti solitari non avevano una lira in tasca e facevano le frittate con le uova di gabbiano. Moitessier era una specie di San Francesco della vela, che ventenne, negli anni Cinquanta, quando io ero un bambinetto, salpò in solitario dal Vietnam verso l’Africa e poi verso i Caraibi. Nell’Oceano Indiano naufragò su un’isola, tagliò degli alberi, costruì un’altra barca e ripartì. Immensa, poetica semplicità. Quale libro ha sul comodino? C’è affollamento. In questo momento ho l’edizione completa de Le mille e una notte basata sul manoscritto arabo; il fumetto di Calvin e Hobbes The tenth anniversary book di quel genio di Bill Watterson –comprato usato da Strand a New York; Walden or Life in the woodsdi Henri David Thoreau – comprato usato in una libreria di Charing Cross a Londra; Stupeur et tremblements di Amlie Nothomb. Sono libri rilegati e, tutte le volte che è possibile, comprati già usati e vissuti. Sono specifici per i risvegli notturni, per fortuna frequenti, quando l’universo tace e si legge con la luce fioca: il momento migliore da dedicare alla lettura. Di giorno, con una sorta di inversione di personalità, leggo invece e-book, nei ritagli di tempo, sul Kindle virtuale. Sto leggendo la biografia di Albert Einstein scritta da Walter Isaacson, in attesa della biografia di Steve Jobs, che uscirà in novembre ad opera dello stesso autore. Qual è l’ultimo libro che ha regalato? Indignez-vous di Stephane Hessel, novantenne partigiano francese che critica la società contemporanea alla luce dei princìpi della Resistenza, che avrebbero dovuto ispirare lo sviluppo delle democrazie europee, ma che sembrano invece essersi perduti per strada. Il cinema: qual è l’ultimo film che ha visto? Un film di alcuni anni fa, L’età dell’innocenza di Martin Scorsese, visto l’altra sera a casa. Mi sono piaciuti molto i dialoghi, così ho subito scaricato da Amazon l’e-inizio del libro da cui è tratto, The age of innocence di Edith Wharton. Una sorta di fulminea intermedialità che rappresenta uno dei grandi lussi intellettuali della nostra epocata. Consiglierebbe un film particolare ad uno specializzando nella sua disciplina? Malattia mentale e psichiatri nei film sono un concentrato di stereotipi, spesso ridicoli agli occhi di chi vive queste cose nella pratica professionale. Quindi non gli consiglierei nessun film in particolare. Però gli direi che nella realtà non dovrà mai aspettarsi di incontrare personalità doppie smaccate come quelle di Anthony Perkins in Psycho di Hitchcock. La realtà è molto meno filmica e più sfumata. Discorso che vale anche per le amnesie psicogene totali, che eccitano talvolta la fantasia dei media, ma sono una bufala. |
Tempo libero… social web |
Quali zone della sua città le sono più care?
A Bologna c’è un punto nascosto e isolato dietro la splendida Basilica di San Domenico, in pieno centro, una piazzetta con un grande albero ombreggiante e una scalinata dove puoi sederti e leggere o chiacchierare. è vicinissima alla sede dell’Azienda Usl di Bologna, così d’estate qualche volta l’ho utilizzata per ristrettissime riunioni di lavoro. Qual è la città all’estero dove si reca più volentieri? Boston, ci sono appena stato. Il suo sport preferito? Una volta era il tennis, poi soppiantato nella preferenza dallo sci, soppiantato dalla vela, soppiantata dal nuoto. Pratico ancora tutto, compatibilmente con il tempo a disposizione, ma una bella nuotata credo sia ciò che oggi soddisfa maggiormente il mio fisico e la mia mente. Anche perché mentre nuoto in piscina uso un lettore MP3 subacqueo per ascoltare musica o selezionatissimi podcast. Al mare no, nuoto allo stato puro, per Sua Maestà il mare. Usa uno smartphone? iPhone o Blackberry? Smartphone, che utilizzo anche come lettore di e-book. Crede che gli strumenti del social web possano essere utili al medico? Se sì, quali, soprattutto? (Facebook, Twitter, YouTube, Delicious, ecc.) In teoria sì, molto meno in pratica, almeno per chi è già inserito in reti professionali reali che soddisfano le sue esigenze di scambio culturale e personale. 29 novembre 2011 |
Danilo di Diadoro è co-autore del tascabile Rispondere a un quesito clinico. |