In primo piano

Leggere, scrivere e suonare la chitarra

Lavoro e professione


Può dire di avere avuto un Maestro?

Due sicuramente. Il professor Pier Giorgio Montarolo, con il quale mi sono laureato, e Sergio Livigni, il mio attuale primario.

È venuta prima la medicina o la scrittura?
La scrittura. Ho pensato che avrei fatto lo scrittore all’inizio della terza liceo. Subito dopo ho preso un 4 nel tema di italiano, e l’anno successivo sono stato rimandato a settembre sempre in italiano, ovviamente (c’erano ancora gli esami di riparazione).

Se tornasse indietro, rifarebbe le stesse scelte professionali?
No. È stata una faticaccia. Alla fine del liceo le cose che mi piacevano di più (ragazze a parte) erano: leggere, scrivere e suonare la chitarra. Se potessi, vorrei ripartire da lì.

Scrivere quanto spazio toglie al “mestiere” primario? E quanto al mestiere di padre?

Togliere non è possibile. Non ho sconti sul lavoro, e i figli sono piuttosto esigenti (ognuno a modo suo), quindi mi tocca scrivere nelle ore più impensate: la sera tardi (quando sono tutti a dormire), o al mattino quando smonto dalla notte (e sono solo a casa). Ciò che scrivo deve essermi ben chiaro in mente, non ho tempo da perdere davanti alla pagina bianca. Quando mi siedo davanti al computer devo già sapere cosa scrivere, se no mi conviene andare a dormire.

In passato si è dedicato anche al teatro. In che modo questa esperienza artistica entra nel suo lavoro di medico?

Scrivere per il teatro è stato un modo per costruirmi un linguaggio narrativo personale (uno stile, oserei dire), ed un modo per parlare di medicina in modo inconsueto. La mia “opera teatrale” più rappresentativa (e rappresentata) è Due di cuori, una commedia che parla di trapianto d’organi. È uno degli strumenti di formazione e sensibilizzazione che la Regione Piemonte ha sostenuto e che utilizza nei contesti più diversi. Vorrei citare anche Uomo mortale, un testo sulla malattia e la morte che è stato riproposto proprio in questi giorni al Teatro Officina di Milano.

È cambiato qualcosa nel suo lavoro da quando ha pubblicato il suo primo romanzo Notti di guardia?

No, anche se in fondo credo di accettarlo meglio (gli voglio più bene).

Qual è la parte del suo lavoro più gratificante? E quella più noiosa?

Quando un paziente gravissimo esce dal nostro reparto con il sorriso e con la promessa di venirci a trovare prima di tornare a casa… Non c’è soddisfazione più grande. Quanto alla noia: copiare in cartella gli esami del martedì e del venerdì, sono tantissimi…

Cosa la spaventa di più nel suo lavoro di medico? E cosa in quella di scrittore?

Per quel che riguarda il lavoro di medico, l’elenco delle cose che mi spaventano è veramente troppo lungo, al contrario per la scrittura… Ma lì vivo ancora l’incoscienza del principiante.

Qual è il commento più memorabile che ha ricevuto da un referee? E quale da un editore di narrativa?

Passo!

Rocco Carbone, giovane scrittore scomparso prematuramente, diceva che “la scrittura amplifica una situazione claustrofobia, non serve per scaricare le tensioni, ma per fartele vivere fino in fondo. Ti porta alla radice delle cose”. Scrivere Notti di guardia dove l’ha portata?

A pormi domande (a volte anche pericolose) sul senso di quello che facciamo. Soprattutto, sul senso della medicina contemporanea. Qual è il suo scopo? La sua missione ultima? Ma soprattutto, è giusta la strada che sta percorrendo? Roba che fa venire il mal di testa.


Ricordi, passioni e curiosità…


Qual è stato il suo primo “esame”?

La nascita di Matteo (il mio primo figlio).

Qual è il suo più grande rammarico?
Volevo fare l’attore…

Una cosa che l’appassiona?
Leggere, il resto non si può dire.

In cucina preferisce stare ai fornelli o a tavola?

Fornelli.


Lettura, cinema e teatro


Il suo romanzo preferito?

Se vale, Pinocchio…

Quale libro ha sul comodino?

Doppler – Vita con l’alce, di Erlend Loe (più altri dieci lì ammucchiati, lasciati a metà, quasi finiti o mai iniziati).

Qual è l’ultimo libro che ha regalato?
La casa del sonno.

La sua pièce teatrale preferita?

Tradimenti di Harold Pinter.

Il cinema: qual è l’ultimo film che ha visto?

New moon, con Matteo… (Matteo è il primo figlio del nostro medico-scrittore; ha 12 anni, ndr)

Il suo film preferito?

Hannah e le sue sorelle.


Tempo libero


Quali zone della sua città le sono più care?

Il Valentino, d’estate.

Il suo sport preferito?

Correre.


Giuseppe Naretto è nato nel 1971 a Torino. Ha due figli, Matteo e Michele. Rianimatore presso la Terapia intensiva dell’Ospedale San Giovanni Bosco di Torino. Dal 2006 si occupa in modo particolare del miglioramento della relazione all’interno dei percorsi di cura, sia nella propria struttura ospedaliera sia collaborando attivamente con enti istituzionali come il GiViTI (gruppo di Terapie Intensive italiane che promuove e realizza progetti di ricerca) e il Centro Nazionale Trapianti.

Per il Coordinamento Regionale dei Prelievi e delle Donazioni di Organi e Tessuti del Piemonte, ha scritto il testo teatrale Due di cuori prodotto dalla Società Cooperativa Artquarium di Eugenio Allegri.

Notti di guardia (Bergamo: Sestante edizioni, 2009) è il suo primo romanzo.

Con il collega Marco Vergano ha curato Il passo della notte (Roma: Pensiero Scientifico Editore, 2009), raccolta di storie e fotografie tratti dal blog nottidiguardia.it di cui Naretto è il “Guardiano” (a tal proposito vedi l’intervista Notti da raccontare pubblicata su Va’ Pensiero n° 377).

Per il teatro ha scritto: “Respiri” (vincitore del Premio Fersen 2004, pubblicato nell’antologia dedicata al premio dalla casa editrice Editoria & Spettacolo); “Uomo mortale” (prodotto nel 2005 e rappresentato dal Teatro Officina di Milano); “La famiglia Organelli”, storia per i più piccoli sul tema donazione e trapianto (con la collaborazione del Centro Nazionale Trapianti e del Centro Regionale dei Prelievi del Piemonte).

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