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L’uomo che sussurrava l’EBM
Diverse persone, tra quelle alle quali abbiamo… offerto un caffè, lavorano per un’assistenza sanitaria di migliore qualità; quali sono i fattori che più condizionano il diffondersi di una pratica medica equa ed efficace?
Credo che l’instaurarsi di una pratica medica equa ed efficace passi attraverso una maggiore attenzione a questi temi; non dovrebbero essere soltanto argomenti di riflessioni più o meno colte e “astratte”, da ricercatori intendo dire. Piuttosto, sarebbe importante che fossero anche i temi centrali dei dibattiti sul ruolo della medicina e dell’informazione, dei confronti tra le diverse categorie di medici, tra medici e amministratori e anche della nostra programmazione sanitaria.
Invece, oggi non è così…
No, non direi: fino ad oggi il dibattito su questi temi è avvenuto più a livello di gruppi selezionati. Questo ha dato l’impressione che si tratti di questioni adatte a scontri tra Scuole o tra “accademici”, anche se in realtà la medicina accademica si è fatta assai poco coinvolgere da questi temi. Non vi è ancora la consapevolezza che questi temi sono centrali per migliorare la qualità dell’assistenza sanitaria e, in ultima analisi, fondamentali per migliorare complessivamente la qualità delle cure e del rapporto medico-paziente.
Far conoscere i risultati della migliore ricerca clinica: perché è così importante, secondo lei?
Per quanto riguarda efficacia e appropriatezza, la disseminazione dei risultati della ricerca sia ai medici sia ai pazienti è un elemento chiave per ridurre l’enfasi commerciale di molta informazione e per favorire un approccio non consumistico alla medicina. Credo anche che vi sarà maggiore fiducia nella evidence-based medicine quando questa si sarà completamente chiamata fuori da usi strumentali orientati al risparmio e si sarà trasformata in uno strumento realmente utile per migliorare il rapporto medico-paziente e l’assistenza sanitaria in generale.
Qualcuno dirà: ecco un’altra voce critica nei confronti dell’EBM…
Un’autocritica, per la precisione. In particolare nel nostro Paese, spesso si sono confusi i mezzi con i fini: sono state “vendute” le banche dati e la lettura critica come un valore in s…
Invece…
Invece rappresentano uno strumento per migliorare le scelte mediche ma anche i rapporti tra medici e tra operatori sanitari. L’EBM in Italia non è riuscita a portare alla pubblica attenzione quegli elementi di maggiore democraticità che l’hanno caratterizzata nei Paesi in cui è nata.
Per esempio?
Pensi all’approccio più esplicito e trasparente proposto nei processi di formazione, di maggiore apertura verso la multidisciplinarietà intesa come una maggiore capacità di confrontarsi con i contributi delle scienze umane, della sociologia e dell’antropologia.
Credo invece che per migliorare l’equità dei nostri sistemi sanitari dovremmo vedere maggiormente coinvolti in questi confronti gli amministratori e l’organizzazione sanitaria così come attualmente strutturata; dovremmo cioè cercare di proporre interventi a sostegno delle categorie più deboli e favorire una maggiore consapevolezza dei cambiamenti necessari per migliorare le attuali disuguaglianze o palesi iniquità. Come ricercatori a supporto dei medici, ritengo che il nostro compito sia cercare di sfidare le nostre organizzazioni per renderle maggiormente coerenti con i princìpi per cui sono state create.
Se dovesse pensare ad una realtà geografica – una Nazione, una regione – capace di servire da “modello” per la Sanità di domani, quale indicherebbe?
Una nazione intera? Forse l’Inghilterra o l’Olanda, sia per come funziona il loro servizio sanitario sia per il livello di discussione e di partecipazione alle riforme e alla costruzione del futuro dell’assistenza sanitaria e delle cure domiciliari in particolare. Aggiungerei che mi piacciono questi Paesi per il loro senso dello Stato e la loro laicità nel ragionare sugli aspetti più innovativi e più critici della ricerca e della assistenza sanitaria.
E, adesso, una realtà locale…
Un’azienda sanitaria “modello” faccio fatica a identificarla. Lavorando a Modena e vivendo a Bologna mi piace dire che vedo in Reggio Emilia un buon modello che mi sento di citare come esempio che conosco bene. Altrimenti dovrei citare il solito esempio del Canada, che in realtà è uscito piuttosto maluccio dalla descrizione che ne viene fatta nel bel film “Le invasioni barbariche”.
Lasci l’Emilia e scenda a Roma: qual è la prima cosa che farebbe se fosse Ministro della Salute?
Rimetterei sotto l’ombrello del sistema sanitario alcune cose fondamentali che oggi la gente paga: tutto ciò che è efficace dovrebbe essere accessibile a tutti: le cure dentali, gli occhiali da vista e anche le cure psicologiche, in particolare, le psicoterapie e la psicoanalisi. Mi sembrerebbe un modo per rendere tutti più consapevoli del fatto che il sistema sanitario pagato dalle tasse è il garante anche economico di tutto ciò che può servire ai pazienti. Questo come proposta politica.
Una proposta più “tecnica”?
Ne sceglierei una attinente al mio lavoro sui farmaci che riguardi le cure primarie: mi impegnerei in un forte investimento a lungo termine per affermare il ruolo fondamentale della primary care, della medicina ambulatoriale e delle cure domiciliari in particolare. Credo che questo approccio, associato alla costruzione di centri ambulatoriali con medici che lavorano in associazione, potrebbe essere una vera rivoluzione per i pazienti rispetto a una medicina fatta da specialisti ad orientamento prevalentemente ospedaliero.
Ricordi, passioni e…
A parte l’impegno profuso nel lavoro, quali cose riescono ad appassionarla?
Sono un eclettico dispersivo ma sereno; anzi, come dice mia moglie, egosintonico. Sono stato un buon lettore e sono un grande appassionato di libri in particolare di letteratura e anche di dischi di musica classica ma non solo. Mi appassionano le contaminazioni tra discipline vicine che si scambiano di solito poco ma che possono invece darsi reciprocamente grandi e illuminanti contributi.
Le piace ascoltare della musica?
Sì, molto, anche se credo che sia un piacere molto privato e intimo.
E il cinema? Ha visto di recente qualche film che consiglierebbe ai lettori di Va’ Pensiero?
Col cinema ho un rapporto ambivalente, non riesco a considerarlo al pari del teatro un’arte anche se è molto comunicativo e “mondano”, nel senso di terreno. Ci vado una volta alla settimana: mi sembra anche troppo. Recentemente mi è piaciuto “Nuovo Mondo”, di Crialese e mi ha innervosito Chabrol con il suo “L’ivresse du pouvoir”, un film comunque da vedere. Qualche mese fa mi è piaciuto molto “Crash”, di Paul Haggis.
E a quale “classico” è più affezionato?
Non so se lo possiamo definire un classico ma sono molto affezionato a “I tre giorni del Condor”; anche perché la sede dell’agenzia di spionaggio in cui lavora Robert Redford assomiglia al CeVEAS e Redford ha una bici simile alla mia. Classici veri? Bergman in bianco e nero e un film jugoslavo di qualche anno fa, “Prima della pioggia”, bellissimo: dai Balcani a Londra e ritorno.
In cucina preferisce stare al tavolo o ai fornelli?
Ai fornelli anche perché ci si sente più importanti e più generosi, quindi migliori e con meno sensi di colpa. Sono un po’ stanco invece delle grandi mangiate o dei ristoranti tradizionali.
E allora dove va a mangiare?
Ho scoperto il sushi anche se a Bologna non siamo ancora molto attrezzati: spero apra una branch del Japonica di New York.
Scelga un piatto emiliano da consigliare…
Le lasagne, senza dubbio, alla faccia di leggerezza e quantità…
Una trattoria della sua città che consiglierebbe di provare…
Da Nello al Montegrappa.
O un vino che porterebbe con sè su un’isola deserta.
Niente vino su un’ isola deserta: solo acqua Perrier. Se fosse possibile avere anche ghiaccio e tutto il necessario per i cocktail, preferirei il rhum che a Cuba ho molto apprezzato e che non conoscevo in tutte le sue possibili versioni.
Qual è la prima pagina che guarda sul giornale?
La prima, ovviamente. Ma i libri li sfoglio sempre dalla fine, cioè al contrario.
Un programma televisivo che vale la pena seguire…
Mi piace molto Blob e Cinico TV, però, non li vedo da un po’: non è che sono stati epurati?
Il politico che inviterebbe a cena?
D’Alema, molto volentieri.
Lettura e scrittura
Ha mai scritto una poesia o un diario?
Sì, qualcosa di entrambi.
Recentemente, sono stati pubblicati diversi libri sul mercato dei farmaci: che giudizio darebbe su questi volumi?
Dipingono un quadro di insieme che somiglia ad un vero mercato delle vacche, soprattutto per quanto riguarda le colpevoli assenze del mondo accademico. Definirei eccellente e adatto a tutti il libro di Marco Bobbio, “Giuro di esercitare la medicina in libertà e indipendenza”, anche perché è scritto con molto garbo. Molto interessante e speriamo efficace per riformare e rafforzare la FDA è l’ultimo rapporto dell’Institute of Medicine, “The future of drug safety”: speriamo che si possa fare qualcosa in questa direzione ora che Eliot Spitzer è governatore dello Stato di New York. Bello e informato è anche il libro di Marcia Angell, “The truth about drug companies”.
Spiritoso e rivelatore il libro di Ray Moynihan e Alan Cassels, “Selling sickness”, perché la medicina è anche consumismo senza senso e costruzione a tavolino di fattori di rischio da medicalizzare.
Sono entrambi stati tradotti in italiano…
A proposito: perché Il Pensiero Scientifico non cura l’edizione italiana del nuovo libro di Richard Smith, “The trouble with medical journals”?
Trecento pagine sul medical publishing, mica uno scherzo… Piuttosto: quale libro ha sul comodino?
L’Ulisse di Joyce. In realtà lo tengo in bagno: è il mio libro più caro. E poi, non ho un comodino…
Come sceglie le sue letture?
A caso, tra la marea di libri miei e quelli sempre più interessanti di mia moglie: inizio e non finisco quasi mai quello che inizio.
Un libro che avrebbe voluto scrivere lei…
L’Ulisse di Joyce, senza dubbio.
Ed uno che vorrebbe leggere, ma non è ancora stato scritto…
Vorrei leggere un libro sul perché l’Europa, pur così colta e piena di storia, ha generato quel mostriciattolo senza senso che è l’EMEA a Londra, che registra i farmaci a protezione dei brevetti industriali, produce materiale informativo di bassissima qualità per giunta in un orrendo formato: un ente che non fa ricerca n la può indirizzare, non può fissare i prezzi n dare suggerimenti su questo, non ha regole di trasparenza n libertà di accesso ai propri documenti, non parla di etica della ricerca n di altre cose fondamentali… Forse è meglio cominciare a scriverlo, questo libro, magari a quattro mani con John Le Carr, come seconda parte del “Il giardiniere tenace”.
Qual è l’ultimo libro che ha regalato?
Le foto di Spoon River, molto belle, anzi commoventi: un regalo per mia moglie. Ad un amico, un bellissimo Julio Cortazar: “Il giro del giorno in ottanta mondi”.
Tempo libero (sport, viaggi, musica…)
Treno, auto o aereo?
L’aereo, anche per andare da Bologna a Roma così almeno vedo il mare a Fiumicino.
Può dirci tre Paesi che sono nel suo cuore e le ragioni di questo affetto?
L’Inghilterra, perché ci sono stato da giovane e ci torno ora per lavoro: mi piace quasi tutto di quel Paese, dalla lingua al loro sense of humour, dai musei gratis agli splendidi concerti sempre accessibili anche all’ultimo minuto, sebbene non ci sia quella cultura dell’ospitalità che si trova in altri paesi più caldi. Il Marais a Parigi: a piedi la sera per i negozi di fiori, le chincaglierie, i bistrot, lo studio di Renzo Piano. Fiesole, in particolare il teatro romano: è bellissimo stare lì e mi piace tornarci pensando che le cose mi sono andate bene nella vita.
In quale città italiana le piacerebbe vivere se non abitasse a Bologna?
A Roma.
La città europea più bella?
Parigi.
Chiuda gli occhi: quale paesaggio ricorda con particolare emozione?
I prati verdi sul retro dei college a Cambridge: i “backs”…