In primo piano
Una educazione continua tra modelli e maestri
Lavoro e formazione professionale
Può dire di avere avuto un Maestro?
Forse bisogna distinguere fra modello e maestro. Per me, il professor Gerbasi è stato un modello di rapporto con un malato (bambini: Gerbasi fu un pediatra). Maestra di ragionamento clinico è stata soprattutto la letteratura medica; se devo citare qualche nome, Alvar Feinstein (si veda “Clinical Judgement”) e Franz Ingelfinger (si vedano gli editoriali del New England Journal of Medicine, quando Ingelfinger era editor).
Ha passato periodi di studi all’estero dopo la laurea? Se sì, dove e per quanto tempo?
Solo pochi mesi, in Inghilterra, a Leeds (modelli bayesiani di diagnosi).
Il suo più grande successo professionale? E la più grande delusione?
Successi: le diagnosi giuste in casi difficili; delusione: le riforme della Facoltà di Medicina e Chirurgia – tutte.
Qual è la parte della suo lavoro più gratificante? E quella più noiosa?
Più gratificante: l’attività clinica e la riflessione sull’attività clinica; più noiosa: i compiti amministrativi (quei pochi che non sono riuscito a scansare).
Il refuso più “pericoloso” che le è sfuggito di mano…
Il più frequente è la “correzione” del mio cognome in “Magliaro” che fa il computer.
Quanto impiega ad andare al lavoro?
Dipende: per la sede centrale dell’Università, 30 minuti; per l’Ospedale, 10 minuti.
Cosa ha appeso alle pareti del suo ufficio?
Una riproduzione del quadro di Luke Fildes “The Doctor”, che è anche sul desktop del mio computer; la riproduzione di un quadretto di Picasso, di un bambino e un cane; il poster con le copertine dei volumi della collana “La memoria” di Elvira Sellerio.
Ricordi, passioni e…
Qual è stato il suo primo “esame”?
Che ricordo meglio, la licenza liceale.
Qual è il suo più grande rammarico?
Non avere dato un seguito di ricerca qualificata all’intuizione, allora solitaria (primi anni ’60), che la cirrosi è prevalentemente una malattia virale.
Ha delle paure nascoste?
La morte di una persona cara.
Una lettera che non ha mai spedito?
Se le scrivo le spedisco.
C’è qualcosa a cui non rinuncerebbe?
L’attività clinica, a cui però ho dovuto in gran parte rinunciare per limiti di età.
E qualcosa a cui vorrebbe rinunciare?
I rapporti con persone che non stimo (incluse quelle noiose, e i professori universitari che hanno i concorsi come argomento preferito di conversazione).
Una cosa che la appassiona?
Riflettere.
In cucina preferisce stare al tavolo o ai fornelli?
Non so neanche fare il caffè…
Si mangia per sopravvivere o per godere?
L’una e anche l’altra (ma non sono goloso).
Curiosità
Qual è la prima pagina che guarda sul giornale?
I necrologi del giornale locale: è una forma di follow-up.
La televisione serve a guardare?
Sempre meno; confesso di trovare insopportabili i talk show e altamente diseducativo elisir (coltiva il corto circuito fra pazienti più o meno immaginari e specialisti, in un ping-pong di vanità).
Chi le telefona più spesso?
Non saprei; forse mia figlia, che è molto affettuosa.
Il momento migliore della giornata: l’alba o il tramonto?
Il tramonto, ma l’alba è per me, appena sveglio, il miglior momento di riflessione.
E il miglior giorno della settimana?
Il sabato.
La prima cosa che farebbe se fosse Ministro della Salute?
Tentare di staccare la sanità dalla cosiddetta politica (in realtà rete clientelare); ma forse è un obbiettivo senza speranza.
Il politico che inviterebbe a cena?
Sergio Mattarella. Molti politici eviterei di invitarli per non restare digiuno; qualcuno lo inviterei per avvelenarlo (devo ammettere).
Lettura e scrittura
Come trova il tempo di scrivere e dove?
Soprattutto a casa, nel tardo pomeriggio.
Il computer è un alleato o un nemico?
Uno strumento indispensabile; può essere un nemico perché apre su troppe cose, con conseguenti ingolfamenti mentali.
Ha mai scritto una poesia? O ha mai sognato di scrivere una poesia?
Ne ho scritte, ma non dopo i vent’anni.
E un diario?
No, tranne durante i mesi del corso di allievo ufficiale.
Quale libro ha sul comodino?
Cambio spesso: “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello”; “David Copperfield”; i gialli di Simenon ambientati a Parigi, o quelli di Raymond Chandler. Attualmente: “Suite Francese” di Irène Nèmirovsky.
Qual è l’ultimo che ha regalato?
“Il silenzio del mare” di Vercors: è uno dei miei libri di culto.
Tempo libero
Quale musica ascolta e dove?
Non sono amante della musica; mi piacciono le canzoni non recenti, ma più che altro perché evocano ricordi; dei classici, preferisco Chopin, che è il più orecchiabile.
L’ultima volta che è andato al cinema? E a teatro?
Al cinema “La rosa bianca”, molto bello (conoscevo la storia); a teatro vado molto raramente, non ricordo l’ultima volta.
Treno, auto o aereo?
Aereo perché in treno o in auto non arriverei mai, ma mi piacerebbe viaggiare in treno.
La città europea più bella?
Non considerando l’Italia, la città europea più bella è per me San Pietroburgo.
Lo sport preferito?
Era il calcio finché non è diventato un commercio largamente disonesto.
Professore di Medicina Interna dell’Università di Palermo e profondo conoscitore della medicina basata sulle prove, Luigi Pagliaro aveva iniziato a collaborare con la casa editrice nel 1969 con la pubblicazione di “Epatite virale. Aspetti epidemiologici, patologia e clinica”. Ha poi dato il suo contributo per la relazione dei volumi Etica, conoscenza e sanità e La medicina delle prove di efficacia a cura di Alessandro Liberati. Altri sui interventi in tema di evidence-based medicine: “A proposito di evidenza” e “Medicina basata sulle evidenze“. Si è poi espresso sulla educazione continua in medicina rilasciando un’intervista per Va’ Pensiero: “Il medico di medicina generale e l’aggiornamento“